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domenica 5 ottobre 2014

IL COLLARE EDUCATIVO DI ADDESTRAMENTO SI PUO' USARE? 
FACCIAMO UN PO' DI CHIAREZZA. 
SITUAZIONE AL 01/10/2014



La sentenza del Tribunale di Lucca n.2431/09 fa propri una serie di concetti in materia di uso di strumenti di correzione ed addestramento cani con particolare riferimento ai collari elettrici assolvendo dall’accusa di maltrattamento un venditore di tali strumenti.
Come è noto i collari elettrici da addestramento sono stati considerati, a più riprese, strumenti atti a infliggere gravi sofferenze agli animali a prescindere dal modo di utilizzazione.
Normative Ministeriali o Regionali hanno a più riprese disposto il divieto di utilizzo di tali strumenti nell’addestramento dei cani partendo da tale presupposto.
In materia si sono pertanto svolti molti processi penali dove veniva contestato, all’utilizzatore o al venditore dei collari elettrici da addestramento, la violazione dell’art. 544 ter C.p. o dell’art. 727 C.p. a seconda che venisse ravvisato dolo o colpevolezza nel soggetto ritenuto responsabile.Con estrema ragionevolezza la sentenza del Tribunale di Lucca, così come la Corte di Cassazione (Cass. 15061 / 07 ), hanno ribadito che unico elemento da valutare sia il comportamento attuato dall’utilizzatore dello strumento usato per l’addestramento e l’eventuali sofferenze effettivamente inflitte e non presunte.
Il collare elettrico da addestramento non è uno strumento illecito, ma la violazione delle norme penali può conseguire solo dall’ abuso dello stesso, così come può accadere per tutti gli strumenti usati per addestramento degli animali.
Tali principi dovranno essere considerati dal legislatore,Statale e Regionale, in modo che non siano adottate norme generiche di divieto d’uso di alcuni strumenti di addestramento, con particolare riferimento ai collari elettrici, ma che siano valutati i comportamenti di volta in volta posti in essere dai soggetti .
In tal senso dovrà essere interpretato anche l’art. 11 comma 2 Legge Regionale Toscana n. 59 / 2009 Che vieta l’uso di collari elettrici nel contesto di una prescrizione normativa che fa riferimento a comportamenti violenti o costrittivi nei confronti degli animali.
Avvocato Andrea Bartali
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L’eventuale utilizzo arbitrario del collare elettronico sul proprio cane integra il reato di “maltrattamento di animali” (art. 727 cod. pen). Tale strumento correttivo è infatti legittimo solo in presenza di animali aggressivi o comunque problematici, non anche nei casi di cani equilibrati e di buona indole.
E’ quanto stabilito dalla Cassazione con una recentissima sentenza, nella quale ha condannato un 38nne per aver detenuto il proprio cane in condizioni incompatibili con la sua natura e produttive di gravi sofferenze, soprattutto per mezzo del collare elettronico.L’animale, sottoposto ad accertamenti atti a verificarne lo stato di salute e il profilo psicologico, non è risultato affetto da criticità comportamentali tali da giustificare l’impiego del suddetto collare. ( così Cass. sent. n. 38034 del 17.09.2013.)
Il collare elettrico, in genere, viene utilizzato nelle attività di “addestramento” e con funzione “antiabbaio”. Funziona rilasciando delle vibrazioni sull’animale, delle quali è possibile stabilire il numero e l’intensità.
La commercializzazione e l’utilizzo di questo strumento sono sempre stati al centro di un accesso dibattito, ma attualmente,non sussiste una legge che espressamente lo vieti.
Ne è vietato, tuttavia, un “utilizzo distorto o inappropriato”, tale da risultare effettivamente dannoso per l’animale. Per esempio, si può dire che il proprietario del cane ne abusi quando utilizza le scosse elettriche con frequenza e intensità troppo elevate oppure quando ne fa uso senza che ve ne sia reale necessità.
In questi casi lo “strumento correttivo” si trasforma in uno strumento di crudeltà, integrando il reato di maltrattamento di animali!
Foggia, 19 settembre 2013 Avv. Eugenio Gargiulo

Il latrato del cane, quando provochi disturbo nelle ore del riposo, può essere una fonte di responsabilità penale e civile per il proprietario!
Ormai gli animali sono “entrati” a pieno titolo nelle case degli italiani.
La recente “riforma del condominio”, per esempio, ha escluso la possibilità che i regolamenti condominiali possano vietare la presenza di animali negli appartamenti dei proprietari.
Inoltre, la Cassazione ha, ormai, riconosciuto il “diritto di abbaiare” del cane. Si tratta – secondo la Suprema Corte – di un diritto esistenziale ( in tal senso vedasi Cass. sent. n. 3348 del 28.03.1995; n. 5578 del 4.06.1996; n. 3000 del 28.03.1997)
Ma anche il riposo è un bene tutelato dalla legge e, in particolare, dalle norme del codice penale (art. 659 cod. pen).. Che fare, dunque, se i due interessi vengono tra loro in contrasto?
Ebbene, secondo la Cassazione, il proprietario dell’animale ha comunque l’obbligo di impedire che quest’ultimo disturbi il riposo delle altre persone. Altrimenti scatta il reato per il proprietario.
Dunque, qualora gli inviti al vicino affinché si prenda adeguata cura dell’animale rimangano privi di riscontro, è possibile “querelare” il proprietario del cane ai sensi del codice penale, che sanziona chi disturba le occupazioni o il riposo delle persone, anche suscitando o non impedendo gli strepiti di animali.
Se poi non si è contenti di vedere la fedina penale del vicino “macchiata”, ma si vuole anche ottenere un risarcimento del danno, è anche possibile agire con una azione civile di indennizzo, ex art 2052 c.c. (oppure, per la medesima finalità, costituirsi “parte civile” nel relativo processo penale). La legge, infatti, stabilisce che l’inquinamento acustico provocato dal latrato insistente del cane può configurare un fatto illecito che giustifica la richiesta di risarcimento del danno.
Foggia, 23 ottobre 2013 Avv. Eugenio Gargiulo

Commette il reato di molestia contro il vicino chi procura il mangiare ai gatti randagi !
Posto un freno a tutela della proprietà privata nei confronti di chi dà da mangiare ai gatti e randagi. Nonostante l’attività di chi ama gli animali sia apprezzabile, oltre che non vietata dal regolamento di condominio, quando il cibo nelle ciotole costringe l’altro proprietario a chiudere le finestre, si può incappare nella commissione del reato di molestia contro il vicino!.
Intolleranti e stufi del vicino che dà sempre da mangiare ai gatti randagi, attirandoli nel vicinato, e lasciando sparpagliati rimasugli di cibi, piatti di plastica e lische di pesce proprio davanti al vostro portone? Questo comportamento, secondo la Corte di Appello di Roma, è illegittimo e può essere impedito con una inibitoria a tutela della vostra proprietà privata.
L’attività dell’amante degli animali, per quanto fatta col cuore e, quindi – così dice la Corte – “apprezzabile”, costituisce comunque una molestia. ( così Corte d\’Appello di Roma, Sezione IV civile, sentenza del 29 aprile 2013)
I giudici capitolini hanno accolto l’azione a tutela del possesso intentata da un vicino, intollerante alle ciotole di cibo lasciate da un “gattaro” in prossimità del proprio garage, che lo costringevano a chiudere le finestre per evitare che i felini gli entrassero in casa.
Seppure un caritatevole e piccolo pasto riservato ai gattini nella parte comune del condominio non è, di per sé, un illecito, specie se non lo vieta il regolamento di condominio, tuttavia, quando la presenza dei randagi limita gli altri condomini nel loro possesso sugli immobili – ad esempio quando il vicino è costretto ad assumere contromisure contro i felini vagabondi nel fabbricato – si configura una molestia. Senza contare,poi, gli escrementi lasciati sulle auto in sosta.
Il “gattaro” resterà pur sempre libero di lasciare le ciotole ai gatti, ma dovrà farlo lontano dal condominio, o meglio non più vicino alla casa e al garage del vicino!
Foggia, 12 settembre 2013 Avv. Eugenio Gargiulo
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STUDIO
Avv. ANTONIO BANA
Avv. GIOVANNI BANA
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Dott. GAIA D'URBANO
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USO DEL COLLARE ELETTRICO SUI CANI: COSTITUISCE REATO?

Brevi considerazioni di carattere tecnico giuridico nell'interesse delle Società produttrici
e distributrici sul mercato nazionale e mondiale dei collari ad impulso elettrostatico
per cani, tutte facenti parte dell'Associazione ECMA for Pet Protection.


1. Da alcuni anni ci si chiede se l'uso sui cani di collari ad impulso elettrostatico (c.d. collari elettrici), in commercio in 
Italia come in altre parti del mondo e destinati all'attività di addestramento, sia lecito oppure dia luogo a un fatto di 
maltrattamento di animali penalmente rilevante ai sensi:
- dell'art 544 ter c.p., che punisce con la reclusione da tre mesi a un anno oppure, in alternativa, con la multa da
 3.000 a 15.000 euro "chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo 
sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche" 
(comma l), nonché chiunque 
sottopone animali "a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi" (comma 2), oppure;
- dell'art. 727, comma 2 c.p., che punisce con l'arresto fino a un anno oppure, in alternativa, con l'ammenda da 
1.000 a 10.000 euro "chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi 
sofferenze".
La domanda si pone in quanto:
a) tra il 2005 e il 2008 si sono succedute tre ordinanze ministeriali contingibili e urgenti del Ministero della Salute¹, 
che hanno vietato l'uso di quei collari, affermandone la rilevanza penale quale ipotesi di maltrattamento di animali 
(la prima delle tre ordinanze ha richiamato espressamente l'art. 727, comma 2 c.p.);
b) il Tribunale Amministrativo Regionale (T.A.R.) del Lazio, accogliendo le istanze presentate da alcune ditte che 
commercializzano i collari elettrici, ha annullato le tre ordinanze di cui sopra, facendo venire meno, pertanto, 
il divieto dell'uso del collare elettrico². In particolare, in relazione alla prima delle tre ordinanze, successivamente 
reiterata, il T.A.R. ha affermato che "risulta adottata senza alcuna istruttoria precisa e senza l'indicazione delle 
ragioni di necessità ed urgenza che - sole - giustificano il ricorso al potere esercitato" dal Ministero di adottare 
ordinanze contingibili e urgenti. Il prodotto di cui si inibisce l'uso, prosegue il T.A.R., "risulta in commercio da anni, 
sicché non è dato comprendere quali siano state (e se vi sono state) le valutazioni sopravvenute a distanza di tanto
 tempo e quali le circostanze di fatto prese a riferimento, capaci di giustificare la determinazione assunta 
[cioè l'imposizione del divieto di utilizzo dei collari elettrici].
Non può, infatti, ritenersi tale la prevedibile reazione alla scossa elettrica da parte dell'animale atteso che si tratta di 
reazione sempre presente in una pratica non nuova, anzi seguita da anni.
______________________
¹Si tratta delle seguenti ordinanze del Ministero della Salute: o.m. 5 luglio 2005, in G.U. n. 158 del 9 luglio 2005; 
o.m. 12 dicembre 2006, in G.U. n. 10 del 13 gennaio 2007; o.m. 14 gennaio 2008, in G.U. n. 23 del 28 gennaio 2008.
²T.A.R. Lazio, Sez. III Quater, sent. 12 aprile 2006 n. 8614, in www.ambientediritto.it; Id., ord. 11 aprile 2007, inedita; 
Id., ord. 23 aprile 2008, inedita.
______________________
c) la Corte di Cassazione, con la sentenza 13 gennaio 2007 n. 15061, ha rigettato un ricorso con il quale una persona,
 indagata per il reato di maltrattamento di animali per avere "abusato" del collare di tipo elettrico antiabbaio apposto al 
collo del proprio cane, chiedeva il dissequestro dell'animale. Nell'affermare la legittimità del sequestro preventivo
 dell'animale la Cassazione non ha provveduto ad una precisa qualificazione giuridica del fatto, che ha 
demandato al successivo giudizio di merito (non ha cioè indicato quale reato avrebbe commesso il proprietario del 
cane: il delitto di cui all'art. 544 ter c.p., ovvero la contravvenzione di cui all'art. 727, comma 2 c.p.), e si è limitata 
a rilevare come il sequestro avesse, nel caso sottoposto al suo giudizio, "lo scopo di evitare il protrarsi di una 
situazione di inutile sofferenza dell'animale costituente reato" (sic). La Cassazione ha affermato che l'uso del collare 
antiabbaio "rientra nella previsione del codice penale che vieta il maltrattamento di animali" ed integra quanto meno il 
reato di cui all'art. 727 c.p. perché "nel caso in esame il referto medico del veterinario richiamato nella richiesta di 
sequestro preventivo attestava lo stato di sofferenza dell'animale";
d) la recente ordinanza ministeriale 3 marzo 2009 (in G.U. n. 68 del 23 marzo 2009), a differenza delle tre precedenti delle quali si è detto, non contempla più nel suo articolato (nella c.d. parte ordinativa) alcun divieto di utilizzo dei collari elettrici: si limita solamente, nella propria premessa, ad un ambiguo ed erroneo riferimento all'anzidetta sentenza della Corte di Cassazione. Secondo la citata ordinanza, quella sentenza avrebbe affermato che l'uso del collare di tipo elettrico, quale "congegno che causa al cane un'inutile e sadica sofferenza" rientra nella previsione dell'art. 544 ter c.p.
Sennonché, come rivela la lettura del testo della sentenza in questione, che il collare elettrico sia un "congegno che causa al cane un'inutile e sadica sofferenza" è affermazione non già della Cassazione, bensì del Tribunale del Riesame di Vicenza, e viene riportata nel testo della sentenza della Cassazionesolo per esporre la motivazione con la quale quel diverso giudice ha confermato il sequestro preventivo del cane di cui sopra. Non solo: non risponde al vero, come anche in questo caso rivela la lettura della richiamata sentenza della Cassazione, che questa abbia affermato che l'uso del collare elettrico rientra nella previsione dell'art. 544 ter c.p.: come si è detto la Cassazione, nel caso sottoposto al suo giudizio, si è limitata ad affermare, in presenza di una certificazione veterinaria attestante la "sofferenza" dell'animale sul quale è stato fatto "abuso" del collare elettrico, che è configurabile un maltrattamento di animali, senza però prendere posizione sulla configurabilità del delitto di cui all'art. 544 ter c.p., piuttosto che della meno grave contravvenzione di cui all'art. 727, comma 2 c.p.
2. In un siffatto confuso quadro di riferimento, normativo e giurisprudenziale, la risposta al quesito dal quale abbiamo preso le mosse - se l'uso del 'collare elettrico' sia lecito, ovvero costituisca reato e, in quest'ultimo caso, se integri il delitto di cui all'art. 544 ter ovvero la meno grave contravvenzione di cui all'art. 727, comma 2 c.p. - deve passare, anzitutto, attraverso due fondamentali premesse, che non è inutile richiamare:
a) in materia penale vige il principio della riserva di legge (art. 25, comma 2 Cost.): solo una legge approvata dal Parlamento, ovvero, secondo i fautori della c.d. riserva in senso materiale, un atto avente forza di legge emanato dal Governo (un decreto legge o un decreto legislativo), può stabilire se una certa condotta (nel caso di specie l'uso del collare elettrico) costituisca o meno reato. E' assolutamente pacifico che le ordinanze ministeriali, in quanto atti non aventi forza di legge, non possono invece legittimamente stabilire cosa costituisca reato. La soluzione alla suddetta domanda, pertanto, deveprescindere del tutto dalle citate ordinanze ministeriali e, in particolare, da quella del 3 marzo 2009, l'unica oggi in vigore;
b) le pronunce della Cassazione - il riferimento è alla suddetta sentenza richiamata dall'ordinanza ministeriale del 3 marzo 2009 - non hanno naturalmente forza di legge (né tale forza, anche per quanto si è detto, può essere loro attribuita da un'ordinanza ministeriale):
riguardano infatti singoli casi concreti (in quello suddetto: un'ipotesi di abuso del collare elettrico su cane del quale è stato certificato da un veterinario lo stato di sofferenza) e, come è noto, ben possono essere sconfessate da successive pronunce della stessa Cassazione, dando luogo a contrasti giurisprudenziali destinati talora ad essere risolti dalle Sezioni Unite, magari non definitivamente: la prassi conosce infatti numerose ipotesi in cui, nel tempo, si susseguono a proposito della medesima questione contrastanti decisioni delle Sezioni Unite.
Da queste premesse discende, quale conseguenza, che la risposta alla domanda che ci si è posti deve necessariamente trovare risposta nel testo della legge - degli art. 544 ter e 727, comma 2 c.p. -, verificando se ad essa sia o meno riconducibile l'utilizzo sui cani dei c.d. collari elettrici.
Orbene, se il collare elettrico viene usato per finalità di addestramento del cane, conformemente alle prescrizioni del produttore - se in altri termini di esso non viene fatto abuso, impiegandolo impropriamente come uno strumento di tortura - va senz'altro esclusa l'applicabilità dell'art. 544 ter, comma 1 c.p., che punisce in particolare chi, "per crudeltà o senza necessità", cagiona all'animale una "lesione", cioè una malattia nel corpo o nella mente, ovvero lo sottopone a "sevizie", cioè ad atroci dolori o feroci tormenti. Da un lato la finalità di addestramento esclude infatti che l'uso del collare avvenga "per crudeltà o senza necessità"; dall'altro lato un corretto utilizzo del collare medesimo - dotato di un meccanismo che varia l'intensità di emissione degli impulsi elettrici a seconda dei diversi livelli di sensibilità del tipo di cane di cui si tratta - esclude che quegli impulsi cagionino all'animale una lesione, cioè una malattia nel corpo o nella mente, ovvero sevizie, cioè atroci dolori o feroci tormenti.
Un corretto uso del collare ad impulsi elettrici, conforme alla finalità di addestramento per cui viene commercializzato (garantire un più efficace governo dell'animale, impedendo che questo possa ad esempio, molestare o aggredire l'uomo o altri animali), esclude altresì la configurabilità del reato previsto dall'art. 544 ter, comma 2 c.p., che punisce chiunque sottopone animali a "trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi". Se il collare elettrico viene utilizzato in modo conforme alle prescrizioni tecniche del produttore (rapportando opportunamente, ad esempio, l'intensità degli impulsi elettrici alle dimensioni del cane), esso non può infatti provocare un "danno alla salute" dell'animale. Non vi è dubbio che tale reato disciplinato dall' art. 544 ter codice penale, costituisce un reato di evento che si consuma quindi solo nel momento in cui dovesse insorgere una eventuale lesione o una condotta di sottoposizione dell’animale a sevizie, comportamenti, fatiche o lavori insopportabili per le caratteristiche etologiche dell’animale.
Un corretto utilizzo del collare ad impulsi elettrici esclude infine la configurabilità del reato di cui all'art. 727, comma 2 c.p., che punisce chi detiene animali in condizioni "incompatibili con la loro natura" e produttive di "gravi sofferenze": da un lato, fare indossare un collare a un cane, come è evidente, non significa detenerlo in condizioni incompatibili con la propria natura; dall'altro lato, se il collare viene usato in modo corretto, cioè conformemente alle prescrizioni tecniche del produttore, esso non produce "gravi sofferenze".
In conclusione, un uso del collare ad impulsi elettrici conforme alle finalità per cui per viene commercializzato e alle prescrizioni tecniche del produttore esclude ogni ipotesi di maltrattamento di animali penalmente rilevante. Uno spazio per l'applicabilità delle norme incriminatrici previste dagli art. 544 ter e 727, comma 2 c.p. - come peraltro conferma la suddetta sentenza della Cassazione - residua nel caso di abuso del collare elettrico, che del tutto impropriamente venga adoperato per infliggere all'animale crudeli o inutili tormenti, ovvero per arrecare allo stesso lesioni (art. 544 ter, comma 1 c.p.), o danni alla salute (art. 544 ter, comma 2 c.p.), o ancora gravi sofferenze (art. 727, comma 2 c.p.). In tale ottica, a ben vedere, il collare elettrico per i cani non è diverso da un tradizionale mezzo di addestramento quale la frusta per i cavalli: se usata in modo proprio la frusta assolve alle finalità di buon governo dell'animale e non offende certo il sentimento umano di pietà per lo stesso; se però di essa si abusa, adoperandola non per il perseguimento di dette finalità ma, ad esempio, per seviziare l'animale con ripetute e violente frustate, magari in parti del corpo particolarmente sensibili, quel sentimento umano, tutelato dalla legge penale, risulta certamente offeso.
(Avv. Antonio Bana)
(Avv. Gian Luigi Gatta)

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- IN BREVE -
Forse nessuno strumento comportamentale inventato dall'uomo è stato più denigrato del collare elettrico, o come lo chiamano i suoi detrattori, il collare shock. Io sono assolutamente d'accordo con chi critica questo strumento, il quale, se usato scorrettamente o messo nelle mani sbagliate, non solo può traumatizzare il cane, ma anche danneggiare in modo permanente la fiducia che desiderate instaurare con l'animale. Tuttavia, se adoperato da una persona esperta, nelle giuste circostanze, può fare la differenza cruciale per il vostro animale.
Tratto dal libro di Cesar Millan 'Il capobranco sei tu'

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Dopo l'intervento di alcuni giorni fa del Consigliere Nazionale di FederFauna Massimo Zaratin sull'annoso problema dei "collari elettrici" impiegati nell'addestramento cinofilo, giunge una nota datata 06/08/2014 del Prof. Giuseppe Tarullo, che fa chiarezza, a partire dal nome: non "collare elettrico'' , ma "collare ad impulso elettrostatico".

Di G. TARULLO - Uno dei cardini su cui poggia il nostro diritto penale è il principio “nullum crimen sine lege”, cioè un fatto per costituire reato deve essere previsto espressamente come tale dalla legge ed avere pertanto un suo “nomen juris”.

Vi sono disposizioni penali che riguardano il maltrattamento degli animali con particolare riferimento ai cani?

La tutela penale degli animali è assicurata in via principale da una contravvenzione prevista nel codice penale che punisce con una ammenda chi incrudelisce verso animali o chi senza necessità li sottopone a fatiche eccessive o torture.

È altresì punito chi detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura. La formulazione originaria della contravvenzione (art. 727 c.p.) mirava al sentimento di pietà nei loro confronti. Ma la sua modifica, disposta nel 1993, sembra avere in considerazione il rispetto dovuto alla natura animale e alle sue esigenze.

Venendo allo specifico, costituisce maltrattamento l’applicazione ai cani di collari elettrici per addestramento cinofilo?

Nel tempo si sono succedute varie Ordinanze Ministeriali modificative del testo che originariamente considerava reato il semplice utilizzo del collare ad impulso elettrostatico.

Stando ad una sentenza del 2007 della Corte di Cassazione, detto collare costituisce una sadica sofferenza per l’ausiliare e quindi rientra nella previsione di cui all’art. 727 cod. pen. (ora art. 544 Ter) che fa divieto di maltrattamento degli animali, da cui si deduce la punibilità con la reclusione da mesi tre ad un anno, ovvero con la multa da 3.000,00 a 15.000,00 euro.

Con legge 189/2004 (art. 1 punto 3) l’art. 727 c.p. è stato modificato nel senso che chi detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura e che sono produttive di gravi sofferenze, è punito da 1000,00 a 10.000,00 euro.

Si sono succedute anche diverse “Ordinanze” Ministeriali e “Sentenze” interpretative di TAR e Cassazione. Ma noi siamo partiti dalla ineludibile premessa che la risposta al quesito principale (è legittimo l’uso del collare elettrostatico?) deve trovare una risposta precisa nella legge.

Appare chiaro che la finalità dell’addestramento esclude che il collare sia utilizzato per infierire sul cane (crudeltà) o senza necessità (che si rinviene invece nell’addestramento).

È altresì chiaro che il collare utilizzato per l’addestramento non può configurare di per sé il reato di cui all’art. 544 Ter comma 2 del Cod. Pen. (secondo cui è punibile chi procura un danno alla salute dell’animale), proprio perché se il collare viene utilizzato secondo le prescrizioni tecniche proprie dello strumento, esso non provoca alcun danno al cane. Per cui l’ipotesi dell’art. 544 suddetto si concretizzerebbe solo e soltanto quando l’animale venga sottoposto con il collare a sevizie da parte del padrone.

Il corretto uso del collare perciò esclude il concretizzarsi del reato ex art. 727 comma 2 c.p. (che punisce chi detiene l’animale in condizioni incompatibili con la loro natura e tali da produrre gravi sofferenze); perché il collocare al cane non crea la situazione di detenerlo in condizioni incompatibili con la propria natura né, se correttamente usato, produce gravi sofferenze.

Pertanto l’Ordinanza Ministeriale 3 marzo 2009 non può configurare alcun reato perché non ha la forza giuridica (come la legge) di stabilire che cosa costituisce un comportamento penalmente perseguibile; né le pronunce della Cassazione hanno forza di legge.

Va dunque conclusivamente premesso e chiarito quanto segue:
- le Ordinanze Ministeriali non sono che semplici atti amministrativi, non aventi valore cogente come la Legge;
- le Sentenze giurisprudenziali non sono legge e fanno stato soltanto fra le parti e per i casi dedotti in giudizio.

Ed allora come può essere risolto il quesito sulla legittimità dell’uso del collare di addestramento?

Rispondiamo che si verifica il reato di maltrattamento ex artt. 544 ter e 727 c.p. soltanto se nell’utilizzo del collare elettrico il cane è sottoposto a sevizie, cioè ad azioni che gli provocano sofferenza fisica (come ad esempio lesioni o ferite) oppure se è costretto a portarlo reiteratamente e per lungo tempo sì da violare la stessa integrità fisica dell’animale.

Invece l’utilizzo del collare elettrico impiegato soltanto in addestramento non comporta in quanto tale la commissione del reato di cui all’art. 1 punto 3 legge 189 del 2014, tranne che non venga usato su un cane particolarmente sensibile che sia soggetto a modifiche morfologiche. In ultima analisi, viene condannato dalla legge il maltrattamento ma non l’utilizzo del collare, in quanto per il divieto di quest’ultimo occorrerebbe una apposita norma di legge che in atto non esiste.

Ne consegue che perché venga accertata volta per volta la sussistenza del reato di maltrattamento (essendo lecito l’uso del collare), è necessaria una perizia veterinaria che certifichi l’essersi verificato nel caso concreto il maltrattamento del cane attraverso il collare cioè per volontà del padrone, che abbia ecceduto nell’usarlo.

Mi scusino i lettori se concludo il mio dire con un esempio banale: indossare a tracolla una doppietta (con le dovute licenze, cosi come il collare del cane in commercio) non costituisce reato, però lo diventa se l’adopero non per andare a caccia ma per eliminare un mio rivale in amore.

In tal caso occorre acquisire le prove del misfatto compiuto.

Autore: G. TARULLO

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